Studio ++

Senza Titolo, 2012

Esperienza e Paesaggio
La natura è indeterminata e riceve le sue determinazioni soltanto dall’arte: il paese diviene paesaggio soltanto sotto le condizioni di paesaggio, e questo, secondo le due modalità, mobile (in visu) e aderente (in situ) dell’artializzazione. (Roger)

L’idea di paesaggio nel nostro tempo è legata alla comprensione.
Non ad una comprensione esclusivamente razionale, dicibile, analizzabile, che deriva dallo studio, dalla rappresentazione o dalla critica, ma ad un approccio più completo e più profondo che a volte può essere metafora dell’esistenza stessa.
Ciò vale sia se pensiamo all’accezione biologica dell’esistenza, quella che ci vede organismi viventi parte di un contesto più grande fatto di cause ed effetti da cui dipende la vita.
Sia se pensiamo all’esistenza come fatto sociale dove sono le relazioni e la loro qualità ad esprimere le condizioni, i pregressi e gli sviluppi di ciò che siamo o di quello che vogliamo a tutti i costi diventare.
Sia infine, che l’esistenza sia pensata come riconoscimento intimo, esclusivo ed assoluto, nel quale ad ognuno spetta una personale e non discutibile definizione di se, che non può e non è necessario venga trasmessa agli altri con interezza.
Consapevolezza che piuttosto affiora nell’unione dei particolari, negli atti di volontà sparsi e che si riconosce nel tempo attraverso il filo conduttore delle nostre azioni.
Il paesaggio, in sostanza, si lega ad un tipo di comprensione di limite tra la certezza dell’oggettività scientifica, lo stupore che induce la capacità degli uomini di creare opere collettive nel tempo e una sorta di inquietante quanto lieve modo di capire le cose che ci trova in fondo intimamente soli. Ammutoliti dall’impossibilità di spiegare inequivocabilmente.
Piuttosto è preferibile non descrivere, non raccontare ma invitare a provare, a fare esperienza.
Per fare questo, per potere raccontare l’esperienza del paesaggio bisogna trovare il modo di farlo divenire un testo aperto all’interpretazione che è principio di appropriazione, conoscenza e riconoscimento.

Il progetto per la Filanda nasce da un dubbio e da una sicurezza.
Nasce da una nostra immagine del territorio che ci portava a pensare l’esistenza di un luogo, sopra la collina, che raccontasse il legame costruito nel tempo tra contesto naturale e abitanti: ovvero quello che chiamiamo paesaggio.
Abbiamo allora deciso di seguire con un’auto i sentieri che salivano fino alla vetta alla ricerca di una croce. Perché pensavamo: se c’è quel luogo, avrà la sua croce.
Abbiamo aggirato la collina e deciso di andare verso un punto che avrebbe potuto non esistere.
Il viaggio ci ha condotto inaspettatamente fino al piano dove abbiamo trovato una chiesa, due croci e un capannone. Da quel punto si dominavano le due vallate e la Filanda diventava parte di un contesto naturale, sociale ed esistenziale più ampio. Da lì abbiamo poi ricercato una strada nel bosco, che ci riportasse, questa volta a piedi, fino al nostro punto di partenza.
Di nuovo siamo scesi facendo scelte, leggendo tracce, cercando punti di riferimento e di nuovo, siamo arrivati a destinazione.
Alla fine le nostre idee non erano state completamente confermate, ma piuttosto ampliate, dettagliate attraverso un’esperienza che non avremmo potuto immaginare con questa precisione.
La nostra immagine iniziale veniva arricchita dal contesto, giustificata da quello che non potevamo sapere e diventava finalmente un paesaggio.
Questa esperienza è stata solo chiarita da un filo che partiva dalla Filanda e arrivava fino alla vetta della collina.
Il filo doveva essere seguito come si segue una descrizione di un paesaggio da un libro, come si guarda dentro un dipinto o in una fotografia, come si risalgono le immagini nel ricordo del nostro passato e dove i particolari sono frutto di una visione selettiva ed inevitabile che è di fatto quel luogo.
L’esperienza, come accade per un libro, per un dipinto, una fotografia o un ricordo lasciava questi percorsi aperti, liberi di crearsi complessità soggettive, paesaggi intimi.

La sfera che è esito finale del nostro progetto, raggomitola i 2,7 km di corda che collegano la Filanda con il piano della croce di vetta.
Nel raccoglierla, la corda ha portato con se parti del percorso che segnava, dichiarando una trasformazione: quella di non poter più tornare alla sua originaria composizione dopo l’esperienza del paesaggio
Al suo interno esiste una logica sfuggente, a tratti percepibile, ma che si perde subito non appena si prova a comprenderla con uno sguardo analitico razionale, dicibile, analizzabile, criticabile o ancora rappresentabile. Al suo interno ha inglobato un insieme di impurità, frammenti di paesaggio, che aggiungono ad un oggetto i contenuti dell’esperienza.
Dalla superficie s’intravedono trame profonde, originarie, che suggeriscono ma non riescono, e non vogliono spiegare la composizione.
Quella sfera non è l’esperienza in sè, ma un documento condiviso per chi ne ha potuto vivere il senso.

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