Mario Consiglio
Rumore necessario, 2010
Sono passati 1000 anni. Sento ancora l’odore del fogliame, decomposto e umido, entrarmi nelle narici.
E’ mattino presto, la nebbia uccide i colori. Cammino nei contrasti, trafitto dai primi raggi arborei. Le mie impronte svaniscono
al tatto e mi muovo nella danza lenta di un rettile.
Sono a digiuno… non mangio mai prima di cacciare, mi sento più magro e teso e gli occhi mi restano aperti. Sento tutto e penso che quello che vedo sia formato da tante piccole sfere unite fra loro… anche il signore dei boschi è fatto così… anch’io e tutti i miei amici… tutto e tutti… milioni di miliardi di sfere.
La terra suona! Ritorno cacciatore. Cerco di intuire da dove proviene il rumore restando immobile, senza respirare, convincendomi della mia invisibilità in un equilibrio improbabile. Ho paura… è a cento passi circa… adesso a molto meno… è veloce… adesso si è fermato.
La boscaglia a me difronte lo nasconde. E’ “il momento”. Il momento di tutte le paure più antiche che riaffiorano e sconfinano in un inspiegabile piacere… euforia?
Mi viene in mente la prima volta che sognai di precipitare nel buio. La prima volta che ho visto un corpo senza vita. La prima volta che sono stato con una donna e a quando il ghiaccio mi si spezzò sotto i piedi e mi sono ritrovato sommerso senza via d’uscita. Piacere e paura dell’incognita, è questo che provo ogni volta che mi si presenta quel momento. I movimenti nervosi della vegetazione suggeriscono ancora la sua presenza. E’ impossibile intuirne l’entità, la dimensione, l’aggressività, quale direzione può prendere, se ce la farai a colpirlo o se sarai tu ad essere colpito. L’adrenalina avverte che è “il momento”: il mio arco è carico… faccio un respiro profondo e immagino un punto fermo nello spazio, come mio nonno mi ha insegnato. E’ “il momento”… eccolo! Scatta… è un attimo, tiro, lo manco, mi viene contro, mi scanso, mi sfiora, è grande… è già lontano. Ho caldo ad un polpaccio, sanguina. Penso a quanto sia affilata la zanna, all’istante che ha aperto la mia carne e alla fortuna che ho avuto.
La nebbia è sparita, è tutto nitido adesso… il verde mi invade… adesso i rami sono fulmini di pietra che frantumano la luce… il ronzio degli insetti canta la sua vittoria.
Il signore del bosco è lontano, il suo profilo quadrupede disegna un passo ripetuto… forse cerca di farmi capire che sono un intruso nel suo territorio o forse mi sta semplicemente invitando ad una prossima sfida.
Sanguino ancora.
Cerco di tamponare il taglio con le foglie di kindra masticate dalla mia compagna la sera prima… sono miracolose sulle ferite.
Il signore del bosco è sparito. Mi alzo sulla gamba sana… c’è troppo silenzio… mi concentro sul respiro…carico il mio arco e scocco ancora una freccia ma questa volta contro il cielo.
Non per rabbia o per vendetta contro gli Dei ma per un’altra ragione che adesso è un sibilo, una linea infinita, un grido soffocato… che fondamentalmente è solo un “rumore necessario”.