Luca Bertolo
Strilli e altro, 2010
Da lontano udiamo uno strillo: non cerchiamo di decifrarne il senso (logico), c’immaginiamo piuttosto i motivi. Strilli son detti anche quei fogli quotidianamente incorniciati davanti alle edicole (altri li chiamano civette ) che “urlano” frasi col massimo d’effetto e il minimo d’ingombro. Servono a vendere i giornali, blandendo la più famelica curiosità del passante. Di questo materiale m’interessava molto l’estrema economia di mezzi (dunque la forma), per nulla il valore comunicativo (il contenuto). Proprio i limiti di queste locandine (vocabolario ristretto, uniformità tipografica) mi hanno stimolato a reciclarle alla ricerca di una scrittura che viaggiasse in tutt’altre direzioni. Ecco, appunto: per me l’informazione quotidiana è propriamente una materia che se non va direttamente all’inceneritore può essere intelligentemente raccolta, differenziata, e, mettendoci un poco di cuore, riutilizzata – senza più ansie da data di scadenza.
Invitato alla residenza nella Filand(i)a, ho composto al volo, come in una sessione a porte chiuse di poetry slum, alcuni di questi strilli. Mentre tagliavo e incollavo ripensavo a quella faccenda di Deleuze che diceva che l’arte non ha niente in comune con la comunicazione; e che se c’è una tendenza generale dell’arte, è quella di resistere: al tempo, all’interpretazione, al conformismo, alla morte…
Come contrappunto all’altisonanza delle parole ho infine deciso di fare il ritratto a due piccoli insetti morti. Ce n’è a centinaia in una grande casa di campagna; generalmente li si trova in prossimità delle finestre chiuse – basta farci caso. Eccoli lì, stecchiti, distesi su un lato o a zampe in su. Bisogna guardarli bene, per capirli. Copiarli è sempre una buona scusa.
X/2010