Antonio Catelani
plein air / pas plein air, 2011
Berlin, 20.10.2011
Sono sempre stato incuriosito da quel segno bianco a tempera che, ben visibile sui vetri delle finestre appena montate nei cantieri edili, indica la presenza della superficie vetrata e al contempo attesta la divisione avvenuta tra interno ed esterno. In fondo una casa in costruzione è un po’ come una rovina ma al contrario: dove all’inizio, anziché alla fine, la permeabilità, la valicabilità delle soglie mette in osmosi l’interno con l’esterno, dove tutto è natura anche l’artificiale costruito dall’uomo. Quel segno dunque mette in guardia, rivela un’insidia invisibile e tagliente: ciò che prima era unito adesso è diviso!
Si è anche più volte detto che la pittura, il quadro, è una finestra sul mondo e quindi sulla natura… sulla realtà. Ma come va intesa questa affermazione, in mero senso mimetico oppure c’è dell’altro?
La “cancellazione del paesaggio” per mezzo di segni casuali ed automatici, tracciati a pennello con tempera bianca, sui vetri di una delle grandi finestre della Filanda, rende come già detto evidente la superficie trasparente: il diaframma che taglia fuori la natura e il paesaggio campestre. Al contempo tale gesto è altresì un “ri-dipingere” il paesaggio al di là del vetro, seppure senza mimesi alcuna. Il segno sul vetro, voluto e ricercato il più neutro possibile, assume suo malgrado connotazioni inattese, valenze estetiche inevase… irrisolte, che riconducono all’arbitrarietà del linguaggio dei segni grafici; ma ciò che qui più conta è che il paesaggio da orizzontale, nel senso della profondità, si eleva adesso grazie a questo “artificio pittorico” in verticale sulla superficie vetrata: si rovescia cioè verso l’interno abitato dall’uomo, nell’artificiale dell’arte e dell’investigazione teorico-estetica.
Ai lati della finestra in questione, in corrispondenza delle superfici murarie bianche, solide e opache, sono stati collocati due piccoli quadri neri, olio su tela, dipinti un po’ a distanza e un po’ per contatto attraverso telai serigrafici e appartenenti alla serie intitolata Assenze.
Qui il monocromo è riconfigurato sul precario confine tra immagine e oggettivazione del piano dove la verifica del piano fisico-pittorico, in solida relazione con quello ontologico, è spinta sino all’atto del toccare la superficie dipinta, gesto che sposta istantaneamente l’attenzione dalla sfera visiva a quella tattile annullando il dato cromatico. I neri o i grigi fissano con incisività l’assenza, la traccia inconsistente e in negativo di un atto dubitativo e la traccia che qui si nota su la tela è quindi la sola concreta evidenza di un accadimento.
Nell’uno come nell’altro caso La Superficie si rivela e assurge al ruolo di vero significante, più del segno sul vetro o della traccia sulla tela, sebbene sia per mezzo di essi, segni e tracce, che si palesa. Dal momento che l’immagine prodotta è priva di qualsiasi linguistica di segno o di rappresentazione è quindi l’atto del toccare per rendere evidente che svela il dato fisico oggettivo. Allora anche questo artificiale dell’arte in fondo è naturale… che più naturale non si può!
Ciò che è al di qua: racchiuso nel perimetro di quattro mura o dei quattro lati di una tela può essere ricondotto all’unità del paesaggio per corrispondenza e analogia.
Abbiamo così forse afferrato una possibile “maniglia” di senso… che apre quella finestra pur lasciandola chiusa, cosi che ciò che sembrava essere stato diviso adesso ci appare di nuovo unito.